Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiare giornalmente. Si deve tentar di portare a galla dall’immi del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia puro pensiero, che sia o non sia un sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più. altrimenti facilmente si cade, -il giorno in cui di crede d’esser autorizzati di prender penna – in luoghi comuni o si travia quel luogo proprio che non fu a sufficienza disaminato.
Italo Svevo, diario del 2 ottobre 1899
Ho la passione di comprare quaderni di ogni tipo e usarli per qualsiasi elaborazione: pensieri, disegni, acquarelli, sogni… Scrivere i sogni è un modo per cogliere i tuoi desideri inconsci, ma bisogna saperli elaborare e non è facile, ma rileggendo un sogno capisci o tenti di capire cosa ti turba o cosa invece desideri. Scrivere di getto è un metodo per scavare dentro di se, ti permette di captare parole, suoni, gesti e elaborare un concetto, un progetto.
“Da cosa nasce cosa”.
Trasformare la parola in un progetto non è semplice, ci vuole creatività, passione inciampando a volte nella praticità del reale. Parole, pensieri e frasi che messi insieme non danno significato. Bisogna saper lasciarsi andare e riusciremo a cogliere l’importanza della parola che più ci ha colpito. Anche in famiglia si usa questo metodo di elaborazione del pensiero. Lo faceva mio padre nei campi di prigionia in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, scriveva tra le righe di un libro di preghiera, raccontava quello che accadeva, le sue emozioni, gli scambi di merce, sigarette, rape marcite e tanto altro. Un diario che sconvolge tanto e che racconta le atrocità che l’uomo è in grado di fare contro i suoi simili.
Scribacchiano gli artisti, poeti, cineasti come Fellini che disegnava le sue sceneggiature, creando vere e proprie opere d’arte. Nell’arte bisogna non solo immaginare la creazione ma dare funzionalità alla praticità dell’installazione, bisogna trovare un sistema per “metterlo in mostra”, renderlo operativo.

Lo scorso anno avevo assemblato sette tele, ogni tela un formato di 50×40 e nell’insieme si aprivano a fisarmonica. Avevo fatto mille prove ma la struttura aperta non teneva, si inclinava, ciondolava, crollava. Un anno di prove, successi e fallimenti, ma sono proprio i fallimenti che ti danno la forza di ripartire e migliorare il progetto. Ho sperimentato metodi alternativi fino ad arrivare alla conclusione di ripartire da zero, ovvero incorniciarlo nel metodo più tradizionale.