Nel mio mondo compulsivo di sentimenti, tutto si muove con un passo instabile: a volte agitato, a volte moderato, a volte lento.
La velocità sembra imposta dall’esterno, ma ognuno ha il proprio ritmo.
È il ritmo del corpo, che si deposita sulla terra come humus: si stratifica, si trasforma, rigenera. Corpo e mente si rinnovano insieme.

In questo universo di etichette — come la sindrome di Klinefelter — imparo a muovermi dentro i miei stessi pensieri.
Li lascio danzare, come un mantra di memorie che si intrecciano per generare una nuova pelle, un nuovo modo di abitarmi.

Ogni “passo sbagliato” è perfetto per quel momento: ci guida, ci insegna, ci aiuta a trovare la strada più adatta a noi.
Accettare gli errori non significa compiacerci, né giustificarci a ogni costo, né restare fermi nella nostra imperfezione.
Significa riconoscere che la vita è un cammino in continua evoluzione — un passaggio da una forma di perfezione a un’altra, nella logica del “più di ieri, meno di domani”.

Camminare, ostinatamente ma con dolcezza. Rialzarci dopo ogni caduta a testa alta, con la forza e il coraggio che nascono dal non colpevolizzarci, dal sentirci umani.

Spesso immaginiamo l’equilibrio come compromesso, come punto di mezzo tra due poli che restano opposti. Ma così non c’è vera comprensione, né crescita.
Se invece lo intendiamo come sintesi — somma e integrazione dei due poli — allora nasce la comprensione profonda.
E con essa, la trasformazione.

Impronte espressive e arteterapia con Paolo


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